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Incontro con Franco Malingri all'Assemblea 2005
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Non c’è bisogno di presentarlo, ma chi lo volesse può leggere il suo curriculum. Ecco il testo del suo intervento:

“Accennavate al vostro spirito: è simile allo spirito di quella che è ancora per noi la “tribù Moana”. Moana vuol dire <blu del mare profondo> in polinesiano.

Forse questa tribù è nata già coi figli. Ero un giovane avventuroso. Quando mi sono sposato non c’erano possibilità di fare le cose che facevo prima. Allora ho pensato di darmi alla nautica: non ne sapevo praticamente niente. Avevamo fondato una specie di società dell’anno sabbatico tra amici e parenti con l’idea che un giorno o l’altro si sarebbe fatto un giro del mondo tutti insieme lasciando il lavoro.

E pian piano partendo da zero abbiamo cominciato, portando con noi i bambini piccoli e i loro amici, perchè da soli coi vecchi genitori non si sarebbero divertiti molto.

Mano a mano questo gruppo aumentava, durante l’inverno facevamo scuola a casa e sulla nostra barca. Partecipavano più o meno tutti. Serate un po’ difficili, dai 12 ai 15 anni c’è una bella differenza. Negli ultimi tempi avevamo abbordato anche la navigazione astronomica.

C’era la fissa di partire, ma non una data fissa. Tutte le estati col CSRB, barca che aveva fatto il giro del mondo con mio fratello, io ne avevo fatto una tappa, ce ne andavamo a spasso per il Mediterraneo.

Navigavamo soprattutto di notte così si poteva vivere due volte. Abbiamo imparato moltissimo. Ad un certo punto ho convinto l’entourage che si partiva. Abbiamo lasciato l’italia per 18 mesi con i figli e gli amici che ci raggiungevano per poche settimane o per qualche mese.

Esperienza fantastica per tutti e soprattutto per me. Pensate fare la cosa che ti piace di più con tutta la famiglia, la moglie, i figli...

Quando siam tornati (avevano saltato la scuola e io il lavoro per 18 mesi) qualcuno è riuscito a fare 2 anni in uno, qualcun altro no. Ma sicuramente non hanno perso nulla nella vita. Hanno cominciato a navigare per conto loro facendo gli skipper sulle barche degli altri.

Preciso: il nostro giro è stato quello classico con Panama, Torres e il Mar Rosso. I miei figli in una delle tappe li abbiamo lasciati soli con i loro amici: erano 7 ragazzi, il maggiore Vittorio 18 anni. Dovevo andare in Russia a montare un impianto. Hanno attraversato da Bali alle Seichelles da soli. La cosa sembra una pazzia, ma dovete pensare che navigavano da quando erano piccoli, e avevano fatto due terzi del giro con questa previsione. È stato un salto nel buio, ma li ha fatti diventare uomini.

Quando sono tornati, dicevo, hanno cominciato a fare gli skipper durante l’estate. Giovanni Soldini, Vittorio e gli altri. Gli Armatori ogni tanto si lamentavano. I ragazzi sono ragazzi, dovete pensare che avevano fatto il giro del mondo e quando l’armatore voleva fare cose che non li convincevano, non glielo mandavano a dire. Un armatore, era un amico di parenti, con una grossa barca voleva mandare in Grecia la moglie e un marinaio. Ha preso Francesco come skipper. Sono andati a Patrasso nel senso classico della parola. Perché partiti da Cefalù a un certo punto, è l’ora di mangiare e si mette il tavolo. Qui bisogna strambare ci sono i bassifondi insiste Francesco, ma ha 17 anni e c’è il vecchio marinaio, Niente da fare: sono andati sui bassifondi. Non hanno voluto neanche saperne di cercare di arrangiarsi con ancore ecc e hanno voluto chiamare aiuto. Hanno dovuto chiamare i pescherecci, potete immaginare il costo, gli han tolto le mutande, ma ne aveva parecchie paia.”

Questo elegante armatore appena arrivati a Patrasso ha fatto sbarcare subito Francesco

Fatemi delle domande voi...

Domanda: “La più bella esperienza e la più brutta?”

“Ah si.

La più brutta.

Fuori da Panama.

Ci aveva raggiunto a Panama un ragazzo e a Las Perlas si andava coi fucili a caccia con gli indigeni.

Per inciso avevamo solo fucili da caccia, per difendersi bisogna essere dei marine, ma è meglio non aver niente. Ogni tanto si trovano quelli che si vantano di avere a bordo i bazooka. Ma se no è meglio tagliar la corda e non andare nei posti dove uno deve difendersi.

Avevamo assoldato due indigeni coi cani per andare su una isola deserta di quell’arcipelago, ed eravamo di conserva un’altra barca incontrata alle Los Roques. Andavamo a dare la caccia ai maiali, o meglio cinghiali, erano maiali un paio di cent’anni fa quando li lasciarono lì i bucanieri e i balenieri. Siamo in questa specie di giungletta, all’alba armati con un paio di fucili, i fucili da pesca la lancia ecc. Tutti corrono corrono perchè i cani hanno fiutato la preda, insomma finalmente prendiamo il cinghiale, dopo il trambusto ci guardiamo intorno e questo Filippo non c’è più. L’avevamo perso. Era un’isoletta piccola. Abbiamo cominciato a girare tutto il giorno a ripercorrere più o meno il percorso che avevamo fatto. Siamo infine tornati sulla spiaggia, non vi dico i ragazzi in che stato erano. Io forse anche peggio, la sera per radio, avevamo sempre gli appuntamenti con casa, e vagli a spiegare che nell’isola non c’erano serpenti nè pericoli, però abbiamo perso Filippo, vedete un po’ se potete metterevi in contatto con l’ambasciata a Panama, mandarci qualcuno ad aiutarci. Nel frattempo l’altra barca parte per andare nell’altra isola a cercare gente per fare una battuta un po’ seria. Insomma eravamo proprio in uno stato... disperati torniamo a riva, torniamo sulla spiaggia per farla breve a un certo punto nel buio sto tale si ripresenta. Era rimasto indietro, era caduto in una forra, era caduto giù e quando ne era uscito si era messo a girare senza trovare la strada. Raggiunta la riva si era messo a seguire la spiaggia con fiumicelli rocce ecc. da attraversare e c’era voluto tutto il giorno. È stata la peggiore giornata della mia vita.

Quando uno ha la responsabilità degli altri, come avete voi. Quando capitano a te, va bè, quando capita alla famiglia è gravissima, quando capitano agli altri, insomma...

La più bella esperienza invece forse è la prima traversata in solitario.

La qualificazione in gennaio dalle Bahamas a Gibilterra, quando arrivi pensi di essere qualcuno.”

Domanda: “Posso chiedere la qual’è lo spirito che porta a navigare da solo per trenta giorni?”

“Dipende dai caratteri: io sono sempre contento quando sono in tanti a bordo perchè almeno se la vedono tra loro.

La fissa uno ce l’ha per mettersi alla prova. Prima del giro del mondo quando avevamo la prima barca mi ero iscritto alla OSTAR ed ero partito da Napoli per la solita qualifica delle 500 miglia, poi ha fatto brutto, mi sono preso paura e mi son fermato a Ponza. Ho chiamato un amico e siamo tornati a casa.

Avrò avuto 40 anni, poi dopo uno continua ad imparare e poi vengono le occasioni per farlo. Quando devi spostare la barca e non c’è più nessuno, mi dico: vado io, poi la moglie mi raggiunge. Poi c’è modo e modo di fare il solitario. Io l’ho sempre fatto per divertimento, fare queste regate per avventura, non certo per spirito agonistico. Solo l’idea di vedere in partenza tutte queste barche che rischiano di speronarsi…

Ci eravamo messi a progettare e a fare le e i timoni a vento. Fin dal principio eravamo convinti che è la barca che fa il navigatore.

Con una barca buona, come dico io, uno fa qualsiasi cosa, tranne che afffrontare uragani e cicloni, perchè la barca va da sola, perchè non ci sono problemi eccessivi, quindi non è così difficile o terribile. Quando c’è tempesta, col ‘39 issiamo le vele del caso col timone a vento e andiamo dentro a dormire, o magari no, ma comunque in cuccetta per non farsi male, ed è finita lì. Si può fare anche da persone che continuano a lavorare e prendono il mare per un mese, al masssimo un mese e mezzo. Quanto a “ci si stufa o non ci si stufa”, insomma da fare c’è sempre: non mi stufo...”

Domanda: “Com’è arrivato alla scelta di progettare le barche?”

“Essendo ingegnere è sempre stato così. La prima esperienza è stata quando Doi si è iscritto alla prima regata intorno al mondo ed è riuscito a farsi fare apposta questa barca dalla Nordcantieri, che poi avrebbe continuato con la serie dei Koala 50. Era stata disegnata da un vecchio architetto inglese che si chiamava Clark, e l’avevo seguita dal punto di vista tecnico in tutti i minimi particolari. Tutti quei particolari che quando uno ha una barca per dieci anni e ci mette le mani impara a considerare e a migliorare.

Mio figlio Vittorio e un suo amico volevano progettare barche. Come fai a insegnare? Un ingegnere fa finta di sapere tutto e si arrangia, poi soprattutto sa che gli altri non sanno niente…

Abbiamo cominciato così con la storia dei timoni a vento Mustafà per i navigatori solitari italiani. Tutti mi davano i piani della barca per permettermi di progettare gli attacchi sullo specchio.

Dopo aver studiato sui libri i rudimenti di come si facevano le barche, da dove si partiva, in pratica è una sezione maestra e una vista di fianco e alcuni altri parametri, ho chiesto ai due, adesso fate una barca come la farebbe Clark, ci mettevano un mese, e poi adesso una come Stephens e così via e finalmente: fate una barca come la fareste voi. Ed è venuto fuori il Moana 45, poi siamo andati a scendere, perchè eravamo sempre stati su barche grandi e di quelle avevamo maggior dimestichezza.”

Domanda: “Avendo visto piani di architetti diversi, qual’è la vostra opinione su chi è il migliore o almeno…”

“Una volta non erano tanto le costuzioni a differerire perchè imperava anche allora la moda ed erano tutti sulla stessa linea. Stephens faceva le barche che tengono meglio il mare. Il Moana è stato fatto con le ovvie modifiche e con le nostre idee su quella scia.

Ho la conferma dopo tanti anni che, insomma, col mio Moana 39 faccio qualsiasi cosa, le altre “robe” non voglio neanche vederle.

Pochi anni fa Francesco e i suoi amici, era l’unico dei figli che non si era ancora fatto con le sue mani una barca tutta sua. Vittorio ha disegnato i piani, io l’ho aiutato con la costruzione andando in campagna dove abita, in 63 week-end di 3 giorni abbiamo fatto il modello, lo stampo e la barca in epossidica, carbonio, proprio una roba super. Vittorio aveva fatto la solita cosa da Soldini, con la deriva che va su e giù una cosa che pesca solo 3,5 metri. Alla Roma per 2 sono arrivati prima di tutti i ’40 e prima anche dei ’50 tranne uno. Quella barca lì, io… neanche per idea di andarci a prendere una tempesta, no.

I Moana partivano con l’idea di fare le regate così nacevano con la poppa tronca. Il Moana 27, che poi era il Moana 30, è una barca che ha dato molta soddisfazione perchè malgrado sia così piccola, ci si sente sicuri.”Lo so per esperienza, con quella ho fatto una OSTAR .

Domanda: “Rapporto tra crociera e regate”

“Guarda, ti taglio subito la parola. Regate non ne abbiamo mai fatte, facevamo solo quelle che non faceva nessuno: il giro del mondo, e quelle in solitario. Mai più saremmo andati a Genova, non avremmo combinato niente.

Vittorio, Soldini, anche Ciccio Manzoli li abbiamo tirati dentro noi nelle regate d’altura.

La navigazione peggiore che mi sia capitata? Tre o quattro anni terribili. Da quando mi ero messo in testa di fare i trimarani e provarli, guarda, un vero cauchemar. Partivo da Milano per metterlo a punto, e già andavo in gola. Porco cane. Finalmente sono riuscito a vendere il secondo…, guarda: paura. La paura c’è sempre prima, poi durante non c’è mai, però lì era proprio una schifezza. Non ci si sente sicuri.

Perché? Basta un’onda vera e va a fondo. Fa quel che vuole, non va avanti, non va indietro, va sempre indietro.

L’unica volta che sono naufragato, è stato con un trimarano, in vita speravo di farne a meno. La Roma per 2, era la con il primo, mi faceva piacere il concetto, l’ingegneria, con quello avevo fatto un parte della OSTAR, mi si era rotto un braccio, non a me ma a questo affare. Avevo dovuto riparare su un bordo solo, alle Azzorre, era un cosa che si riusciva a metter dentro a pezzi nei trenta piedi di un container: l’ho portato a casa l’ho rinforzato, l’anno dopo sono andato a fare la Roma per 2 e per strada a un certo punto vediamo lontano uno che fa segnali, delle luci, c’era vento forte si andava con lo spi bellissimo, succede qualcosa dico, andiamo a vedere, ad aiutare. A un certo punto bruuum: erano i pescatori che ci dicevano di andarcene. Avevamo sderenato il timone su una rete. Abbiamo proseguito, siamo andati avanti e io dicevo al mio compagno, era quello delle Las Perlas che era cascato: si sta togliendo il timone, ma no, ma qui, ma là, perchè lui è un regatante. Abbiamo girato Lipari siamo tornati indietro, abbiamo fatto delle velocità fantastiche a un certo punto è cominciato il brutto tempo e il timone, che però avevo ben legato si è staccato del tutto, allora nel brutto tempo con le onde alte ma corte, questa era una barca strana aveva due derive orientabili, si cercava di stare alla cappa giocando sulla loro posizione ma non era facile. Con un trimarano se non stai un po’ di bolina e ti metti al traverso è un disatro perchè il mare ti butta le onde proprio sui galleggianti. Fatto sta che a un certo punto, verso la fine della notte, un colpo della malora. Un grosso maroso si era riversato sul galleggiante sopravvento e aveva rotto tutto, proprio tutto, l’aveva spaccato completamente malgrado i rinforzi. Allora abbiamo subito lanciato il mayday. Buttato la boetta in mare. Prima di tutto abbiamo cercato di portare tutti i pesi dalla parte giusta perchè non si rovesciasse, poi abbiamo chiesto aiuto per radio ci han sentito da Capri, siamo rimasti a bordo, non avevamo intenzione di buttare il canotto fino a quando non ce ne fosse stato proprio bisogno, perchè tanto quella barca lì aveva tante casse stagne che non sarebbe purtroppo mai andata a fondo.

E allora a un certo punto vediamo una grande nave lontana, proviamo a lanciare un razzo, due. Non succede niente. Poi già lontana comincia a virare, allora buttiamo la zattera in mare, mezz’ora ci ha messo a gonfiarsi, sembra che chi l’aveva messa a posto avesse schiacciato il tubo che dava il CO2. Prima o poi si è gonfiata. Siamo entrati benissimo senza neanche bagnarci proprio, e abbiamo mollato st’affare che è andato fuori dalle balle sempre diritto e per conto suo. E la nave ha virato ed ha cominciato a venirci sottovento, un casino infernale, ci ha buttato la palla, avrà anche un nome, con attaccata la corda, perchè per me son tutte corde, e l’abbiamo anche presa, poi l’abbiamo mollata perchè la nave aveva ancora un abbrivio di otto dieci nodi. Allora l’hanno capita, sono girati dall’altra parte abbiamo preso la sagola sottovento e ci siamo arrampicati su quelle grosse reti che servono per l’operazione. Eran tutti contenti. Questa era una nave olandese vecchissima, frigorifera. Era in mano a un comandante polacco con una ciurma di 6 7 persone non meglio identificate marocchini, africani, e stavano portando del pesce del Mar Rosso pescato da quelle parti, proprio a Gaeta e allora va bè siamo stati rifocillati e tutti erano contenti. Il comandante: “è la prima volta che salvo qualcuno…” Gli ho regalato sul momento l’orologio appena ricevuto in regalo da mia moglie! Arriviamo a Gaeta e lì salta fuori un poliziotto che non ne voleva sapere, si era messo in testa che fossimo chissà chi, che avessimo fatto chissà cosa. Dico: ma guarda telefona alla Roma per 2, chiedi, stavamo facendo questa regata. Telefona al Questore di Milano, telefona, siamo tutti schedati come ingegneri che fanno l’alluminio che poi magari va a finire nelle armi, una volta c’erano tutte queste storie, niente da fare ci ha tenuti lì per delle ore e delle ore, ci ha portato al distretto e naturalmente la prendevamo proprio male per lui, e cioè sul ridere perchè naturalmente quando sei sicuro... Insomma lui era convinto che faceva lo scoop della sua carriera, poveretto. Comunque alla sera prendiamo il treno e andiamo a casa, Ma la storia non è mica finita!

Allora, era domenica, metti che ero tornato il giovedì, nel pomeriggio ha telefonato la capitaneria di Capri: venga a riprendersi ...

In teoria era grave perchè noi avevamo lasciato in navigazione in mare un pericolo senza dir niente...

Insomma questo era successo: che una maledetta corvetta della marina inglese che veniva da Cipro l’aveva visto e aveva fatto l’esercitazione. Allora, erano saliti a bordo, avevano tolto tutto, ci hanno poi ridato le bussole tutti i pezzettini che avevano messo da parte, avevano tolto le vele, avevano messo grandi pesi tutti da una parte, avevano cercato di rimettere in qualche maniera il timone e si erano messi a trainarla, erano a 60 miglia da Capri.

Solo che evidentemente nel giro di un quarto d’ora o anche meno il trimarano si era ribaltato. Che cosa vuoi il timone possa fare con un traino a 15 nodi... e questi qua, questi qua l’hanno tirato sott’acqua sino a poche miglia da Capri poi hanno chiamato la capitaneria di Capri: venitelo a prendere. Quelli lì, era brutto tempo, hanno in dotazione dei barchini lunghi come questa tavola. Alla fine han dovuto andare. Quando sono arrivato a Capri mi hanno dato tutto anche la farmacia di bordo. Perchè prima di trainarlo gli inglesi avevano levato tutto.

Allora lì ci siamo messi a smontarlo nel porto di Capri, e a caricarlo su un camion dove mi hanno pelato. Tir fatto venire tramite amici, ma poi c’era il traghetto che ci fregava, perchè loro portavano sempre i camion, ma noi naturalmente no, e allora abbiamo pagato una fortuna per le poche miglia e l’abbiamo portato in campagna dove adesso è sotto la piscina...

Naturalmente quell’EPIRB buttato funzionava, dopo mezz’ora è stata subito avvisata l’ambasciata italiana e il Centro inglese dei satelliti ha telefonato a casa direttamente a mia moglie: “dov’è il signor Malingri?” “come dov’è?” “perchè vogliamo sapere dov’è” non le dicevano come stavano le cose, alla fine ha capito che l’Epirb stava trasmettendo.

Un’altra volta ci hanno chiamato quando è successo a Giovanni con la sua prima barca, perchè lui aveva scritto nel formulario il mio nome non quello di suo papà...”

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